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«... a guardare i treni che partivano»

28.10.2020 — von Vincenzo Todisco

Sie kamen aus einem einstigen Vielvölkerbund. Lebten unterschiedliche Traditionen, stammten aus unterschiedlichen sozialen Verhältnissen, hatten unterschiedliche Kochgewohnheiten und sprachen unterschiedliche Dialekte. Gemeinsam war ihnen lediglich, dass sie aus wirtschaftlichen Gründen ihre Heimat verlassen mussten, um in der Fremde zu arbeiten. Dort interessierte man sich nicht für ihre unterschiedliche Herkunft. Dort waren sie einfach «die Italiener».

Nach dem zweiten Weltkrieg trieben Armut und Arbeitslosigkeit hunderttausende italienische Gastarbeiter*innen in die Schweiz. Bis 1970 nahm ihre Zahl auf über 520 000 Personen zu. Im selben Jahr sagten 46 Prozent der Schweizer Bevölkerung Ja zur Schwarzenbach-Initiative, die eine Begrenzung des Ausländer*innenanteils verlangte. Heute gelten die zweite und dritte Generation der italienischen Einwander*innen als Teil der schweizerischen Gesellschaft.
Sono seduti sulle panchine o li trovi nei circoli a giocare a carte. Li riconosci dall’aspetto, con i pantaloni di flanella e le camicie stirate, il viso segnato dalle rughe, le mani consumate, e li senti parlare italiano o il dialetto del loro paese d’origine. Sono lì seduti a raccontarsi i loro sogni, quelli realizzati e quelli rimasti incompiuti, le sofferenze e il sudore speso a contribuire al benessere di un paese che li aveva chiamati molti anni prima. Un paese che per molti di loro è stato due cose in una, a volte ingrato ma anche solidale, freddo e in molte circostanze ospitale, triste, ma anche un porto sicuro, una garanzia per un futuro migliore. Quando erano più giovani la domenica andavano alla stazione a guardare i treni che partivano. Quella nostalgia un po’ li tormenta ancora, anche se dopo tanti anni evoca in loro qualcosa che non c’è più, il paese cambiato, i parenti invecchiati o scomparsi.
Die erste Generation der italienischen Migrant*innen hat vor mehr als fünfzig Jahren ihr Land nicht ferienhalber verlassen, sondern um Arbeit zu finden. Sie hatten vor, nur kurze Zeit zu bleiben, aber viele von ihnen sind immer noch da. Sie schlagen die Zeit tot, indem sie auf den Bänken sitzend über Gott und die Welt philosophieren, während die Frauen immer noch am Herd stehen und Pasta kochen. Sie haben sich mehr oder weniger eingelebt, haben mehr oder weniger die Sprache gelernt, und sie haben ein Land lieben gelernt, das sie nicht immer zurückgeliebt hat.
Subito dopo la seconda guerra mondiale e fino agli anni sessanta moltissimi italiani, soprattutto del sud, erano costretti a lasciare il loro paese per trovare lavoro all’estero. Quella dell’emigrazione italiana in Svizzera non è una storia semplice da raccontare, dato che si fonda su una contraddizione: la manodopera straniera era funzionale allo sviluppo economico svizzero, ma gli stranieri restavano comunque stranieri, quindi diversi e non sempre ben accolti. La contraddizione è già nel modo in cui venivano chiamati: Gastarbeiter, lavoratori ospiti. Nel linguaggio popolare erano però detti «Tschinggen», probabilmente dal «cinch» (cinque) che si urlava nel gioco della morra, gioco che spesso finiva in litigio e dava l’impressione che gli Italiani fossero tutti chiassosi e pronti di coltello. Oggi «Tschingg» è quasi un vezzeggiativo, ma allora era molto offensivo, come un pugnale alla schiena, per non parlare dei ristoranti alla cui entrata c’era scritto «Zutritt für Hunde und Italiener verboten».

Sie haben sich mehr oder weniger eingelebt, haben mehr oder weniger die Sprache gelernt, und sie haben ein Land lieben gelernt, das sie nicht immer zurückgeliebt hat.

Die italienischen Gastarbeiter*innen hatten ein vom Krieg zerstörtes Land verlassen, einen Süden ohne Arbeit, einen Norden, der zwar zu einer unglaublichen wirtschaftlichen Aufholjagd angesetzt hatte, der aber offenbar nicht jedem*r das bieten konnte, was die Schweiz versprach. Im Gegensatz zu den Nachbarländern konnte die Schweizer Industrie, die vom Krieg verschont geblieben war, ihre Produktion rasch wieder hochfahren. Dafür brauchte sie aber dringend Arbeitskräfte aus dem Ausland. Die Italiener*innen sind hierhergekommen, um Strassen, Brücken und Häuser zu bauen, um Tunnel zu graben, um in den Fabriken zu arbeiten, in den Gasthäusern die Tourist*innen zu bedienen oder in der Küche Teller zu waschen. In den ersten Jahrzehnten haben sie aufgrund des Saisonnierstatuts hauptsächlich in Baracken gewohnt, am Rande der Gesellschaft. «Wir riefen Arbeitskräfte und es kamen Menschen» hatte Max Frisch treffend gesagt, um das ungelöste Paradox der italienischen Einwanderung in der Schweiz zu bezeichnen.
Negli anni settanta in Svizzera viveva e lavorava mezzo milione di immigrati italiani. Quella italiana è stata storicamente l’emigrazione più numerosa e utile allo sviluppo economico elvetico e la più conciliabile o integrabile. Il sacrifico al primo posto, per farsi la casa, per mandare i soldi in patria, per dare da mangiare alla famiglia, per far crescere i figli, farli studiare.
Die Geschichte der italienischen Gastarbeiter*innen in der Schweiz ist von vielen Entbehrungen und einigen Tragödien gezeichnet, wie jene von Mattmark, im Wallis, als im August 1965 achtundachtzig Arbeiter, darunter fünfzig italienischer Nationalität, unter Tonnen von Eis, Geröll und Schlamm, die sich vom Gletscher oberhalb der Baracken gelöst hatten, begraben blieben.
Il compito di concludere un complicato percorso di integrazione è stato affidato alla seconda generazione, alle figlie e ai figli nati e cresciuti qui in Svizzera. Con la tenacia e la forza di volontà la prima generazione ha spianato la strada alla seconda. C’era questa aspettativa nei confronti dei figli: il riscatto. La seconda generazione è quella di mezzo, tra due mondi e mentalità, quella senza luoghi da rimpiangere, con le radici sciolte da mettere da qualche parte. La generazione di non pochi bambini nascosti, figlie e figli di coloro che a causa dello statuto dello stagionale non avevano il permesso di portare con sé la famiglia e quindi la facevano venire in Svizzera clandestinamente. Anche per la seconda generazione in parte ci sono stati percorsi difficili, ma molti di loro hanno imparato la lingua, sono diventati bilingui, si sono integrati, hanno imparato a trarre il meglio da due mondi opposti, a vivere la loro situazione non come una penalizzazione, ma come un arricchimento. Da «Tschingg» sono diventati «Secondos» o «Italos». Sono quelli che hanno imparato che ci sono due parti della medaglia, a sentirsi a casa in una Svizzera che ha dato loro la possibilità di studiare, lavorare, di farsi una posizione e crearsi un futuro.

Oggi «Tschingg» è quasi un vezzeggiativo, ma allora era molto offensivo, come un pugnale alla schiena, per non parlare dei ristoranti alla cui entrata c’era scritto «Zutritt für Hunde und Italiener verboten».

2004 hat das Schweizer Volk die erleichterte Einbürgerung von Ausländer*innen der zweiten Generation abgelehnt. Die ablehnende Haltung war wahrscheinlich nicht in erster Linie gegen die Italiener*innen gerichtet, aber für viele von ihnen, vor allem der dritten Generation, war es eine Enttäuschung. Letztere haben das Herkunftsland nicht mehr aus direkter Nähe gekannt, viele beherrschen Italienisch nicht mehr so gut oder haben es gar verlernt. Andere sind bereits als Schweizer*innen geboren und fühlen sich diesem Land zugehörig. Sie sind der Beweis, dass trotz einiger Schattenseiten die Integration der italienischen Einwander*innen in der Schweiz in mancher Hinsicht eine Erfolgsgeschichte ist.

Les Italiens

Das Theater Chur zeigt das Stück «Les Italiens» des Westschweizer Regisseurs mit italienischen Wurzeln Massimo Furlan. Ein lustiges und berührendes Generationenportrait über die italienisch-schweizerische Migrationsgeschichte.

am 28. Oktober

VINCENZO TODISCO wurde als Sohn italienischer Einwanderer in Stans geboren. Er studierte Romanistik an der Universität Zürich und war bis 2004 Redaktor bei der Kulturzeitschrift Quaderni grigioni italiani. Er ist Dozent an der Pädagogischen Hochschule Graubünden und lebt in Rhäzüns.